LA CRUDELTA' A TAVOLA NON E' UNA COSA NECESSARIA, MA UNA SCELTA
- da "La Cucina Etica"
- 16 feb 2016
- Tempo di lettura: 7 min

Essere vegan non è un'etichetta una religione: essere vegan è innanzitutto uno stile di vita, un modo di vivere più rispettoso anche verso gli altri esseri senzienti non umani. Chi è vegan cerca di vivere nei fatti ancor prima che nelle parole il concetto di “rispetto della vita”, a chiunque essa appartenga.
Scegliere di vivere vegan implica generalmente un lungo percorso di crescita personale, una graduale presa di coscienza di quanta sofferenza totalmente inutile venga causata dagli esseri umani agli altri esseri viventi, in particolare agli animali non umani.
Nella nostra società contemporanea gli esseri senzienti non umani sono quasi sempre considerati alla stregua di oggetti: da usare, da mangiare, da rottamare, con cui divertirsi; e non si considera invece quasi mai che essi, proprio in quanto esseri senzienti, cioè dotati della capacità di provare piacere e dolore, condividono in realtà con noi umani anche la capacità di soffrire.
Questa comprensione è certamente il primo passo dell'essere vegan. Infatti la consapevolezza che la sofferenza non è suddivisibile in compartimenti stagni, ossia sofferenza di serie A quella degli umani e di serie B quella dei non umani, porta inevitabilmente a fare scelte più responsabili e consapevoli.
Chi segue lo stile di vita vegan sceglie pertanto di non utilizzare alcun prodotto che derivi dallo sfruttamento degli animali: pelle, pellicce, seta, lana, ecc. In particolare, l'alimentazione vegan, oltre alla carne ed al pesce, non contempla l'uso di alcun prodotto di origine animale, neppure i derivati, come uova, latte, latticini, formaggi, miele, ecc.
Per la preparazione di un pasto vegan nessun animale viene quindi ucciso, né direttamente né indirettamente, e nemmeno maltrattato o sfruttato. La crudeltà a tavola non è una cosa necessaria, ma una scelta.
Nutrirsi rispettando l'etica vegan è anche molto più salutare e in sintonia con le linee guida dell'alimentazione naturale per l'essere umano. I vantaggi dello stile di vita vegan sono notevoli non soltanto per la nostra salute e per il benessere degli animali, ma anche più in generale per il benessere del pianeta e del suo ecosistema, oltre che per il decisivo impatto nel diminuire la fame nel mondo patita da altri esseri umani.
Seguire un'alimentazione vegan significa un minor impatto sulle risorse del nostro pianeta, che notoriamente non sono infinite. Significa un minor consumo di energia, di acqua, di pesticidi, di inquinanti, di farmaci. Significa minor necessità di terra e di conseguenza minor deforestazione.
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RAGIONI ETICHE: VEGETARIANI NON BASTA?
La scelta vegan viene ancora considerata da molte persone come una scelta estremista. E' molto più facile comprendere le ragioni etiche del vegetarismo che si oppone alla morte degli animali tramite la crudele pratica della macellazione: il vegetariano etico, infatti, rifiuta di nutrirsi di animali uccisi a scopo alimentare, senza neppure l'attenuante della necessità ai fini della sopravvivenza.
Quella vegetariana è una posizione facilmente comprensibile, ma non sempre condivisa, anche da parte di chi gli animali continua a mangiarli. Siccome le motivazioni su cui si fonda l'etica vegetariana sono già note al grande pubblico, desideriamo approfondire brevemente in questa esposizione le ragioni etiche del veganismo. Può infatti sembrare più difficile spiegare e comprendere le motivazioni di questa scelta che rifiuta, oltre alla carne e al pesce, anche gli altri prodotti di origine animale, quali uova, miele, latte e latticini.
L'obiezione più ricorrente mossa al veganismo è che non è necessario uccidere un animale per consumarne il latte o le uova. Si rende quindi necessario un approfondimento sui sistemi di produzione di questi alimenti, argomento, questo, ignorato da molte persone per mancanza di informazioni o semplicemente per scarsa volontà di riflessione.
LA PRODUZIONE DELLE UOVA
Iniziamo col prendere in esame come sono prodotte le uova, che provengono dalle galline ovaiole, una razza diversa da quella allevata come polli da carne. Il ciclo di produzione inizia dalle uova fecondate, che vengono poste in enormi incubatrici al fine di “produrre” altre galline ovaiole. Circa la metà dei pulcini nati è costituita da maschi che, notoriamente, non producono uova e sono quindi inutili; solo una piccolissima percentuale degli stessi è necessaria per la riproduzione, pertanto la quasi totalità dei pulcini maschi, non essendo adatta alla produzione di carne, viene soppressa alla nascita. Generalmente questa esecuzione capitale avviene con il gas oppure mediante uno strumento molto simile ad un tritacarne a lama, talvolta invece si ricorre al soffocamento. […]
Le femmine non godono comunque di miglior sorte e vengono avviate ad un intensissimo sfruttamento come galline ovaiole.
Esse vivono la loro breve vita ammassate in gabbie della dimensione di una scatola da scarpe e ciò le rende estremamente aggressive. Gli allevatori ricorrono quindi al taglio del becco perché non si feriscano reciprocamente: talvolta assieme alla punta del becco (che è una parte estremamente sensibile per la presenza di tessuto nervoso sotto lo strato corneo) viene trinciata anche la lingua e nn è inconsueto che dopo questa dolorosa operazione, svolta senza alcuna anestesia, molte di loro muoiano di fame e persino di sete!
Le cose non cambiano di molto neppure nel caso di uova provenienti da allevamenti biologici, con galline allevate a terra. Infatti, anche se questo sistema di allevamento è sicuramente preferibile rispetto a quello in batteria, il problema dei pulcini maschi è comunque presente: essi sono inutili per lo spietato processo produttivo e perciò debbono ugualmente essere soppressi.
La stessa sorte spetta ovviamente anche alle galline ovaiole, dapprima ipersfruttate per ottenere il massimo rendimento possibile di uova, poi, non appena la loro produzione accenna a diminuire, le si sopprime e le si sostituisce con altre “più fresche”. I cicli produttivi, pur se biologici, sono comunque orientati al profitto economico e non ammettono in nessun caso l'inefficienza, pena l'uscita dal mercato.
Con queste informazioni diventa quindi maggiormente comprensibile la scelta vegan di rifiutare tutti i tipi di uova, tanto più per chi si ritiene animalista: infatti dietro ad ogni uovo ci sono comunque vite spezzate (!).
LA PRODUZIONE DEL LATTE
Il discorso sulla produzione del latte (e di tutti i suoi derivati, compresi i formaggi) è molto simile e, per certi aspetti, ancora più drammatico e crudele.
Le mucche oggigiorno sono semplici macchine da latte e, attraverso manipolazioni genetiche e somministrazione di ormoni, vengono artificialmente indotte a produrre fino a dieci volte più di quello che farebbero in natura.
Com'è facilmente comprensibile, nessuna mucca sopravvive a lungo ed in buona salute allo stress di tali ritmi produttivi: dolorose mastiti alle mammelle, ad esempio, sono all'ordine del giorno. Inoltre, l'innaturalità degli ambienti (solitamente edifici di cemento), l'esiguità dello spazio vitale (comunque artificiale) e la convivenza forzata ed estremamente ravvicinata con centinaia, se non migliaia, di altre mucche, di certo non contribuiscono a mantenerle in buona salute. Si rende perciò necessaria la somministrazione continua di farmaci ed antibiotici, anche a livello preventivo allo scopo di evitare possibili epidemie. E dopo pochi anni di intenso sfruttamento (mediamente non più di 5 o 6), non appena la produzione di latte accenna a calare, il loro destino resta comunque quello del macello (in natura le mucche vivrebbero invece fino a 20 anni!).
La maggior parte delle mucche da latte non vede mai un prato e non conosce altro che la catena o le mungitrici meccaniche… la loro esistenza è più simile ad una lunga morte che ad una, seppur breve, vita. L'inseminazione ( che avviene a ritmo serrato, addirittura già dal terzo mese successivo al parto, affinché non smettano di produrre latte) è rigorosamente artificiale e, quando esse partoriscono, i cuccioli vengono quasi immediatamente sottratti alla madre, tra le reciproche urla di disperazione, per non vederla mai più e per essere destinati, se femmine, allo stesso infelice destino della madre e, se maschi, di lì a pochi mesi, al macello.
Le mucche, come ogni mammifero, per produrre latte devono essere ingravidate e partorire un vitellino; questo, se fortunato, dovrà accontentarsi del colostro (il primo latte, non utilizzato dall'uomo) della madre, dopodiché verrà irrimediabilmente allontanato dalla stessa e nutrito con preparati artificiali, privi di ferro e fibre per mantenere la sua carne bianca e quindi più gradita ai consumatori, mentre il latte della mucca, a cui il vitellino avrebbe il naturale diritto, verrà munto meccanicamente ed utilizzato per il consumo umano. Le eccedenze verranno invece distrutte: questo per motivi di mercato e di artificiosi equilibri economici.
Inoltre, anche in questo caso, circa la metà dei vitellini nati dalle mucche da latte sono maschi, i quali non potranno ovviamente produrre latte. Le femmine vengono in buna parte avviate alla loro breve carriera di macchine da latte mentre i maschi, assieme alle femmine in sovrannumero non utilizzate per la produzione di latte, sono destinati quanto prima al mercato della carne e quindi macellati.
Queste sono le attuali e spietate leggi del mercato, oltre che l'unico modo per mantenere accessibili i costi dei prodotti animali, tra l'altro questo settore di mercato è pesantemente finanziato dallo Stato con denaro pubblico, cioè quello dei contribuenti (compresi coloro che non consumano questi prodotti!): i sussidi versati agli allevatori che riforniscono di carne l'Occidente sono pari a SEI VOLTE il valore degli aiuti forniti ai paesi del Sud del mondo.
Anche in questo caso gli allevamenti biologici, sebbene più rispettosi delle necessità fisiologiche ed etologiche degli animali, non esimono dalla necessità di sopprimere i vitelli maschi, che, in un'ottica di “consumo umano”, sono comunque considerati un' “eccedenza produttiva”. Del resto non sarebbe neppure ecologicamente sostenibile mantenere per 20 anni tutti i vitelli fatti nascere allo scopo di far produrre il latte a una mucca: semplicemente non ci sarebbero pascoli a sufficienza.
La carne di vitello e di manzo è in realtà un sottoprodotto dell'industria lattiera e casearia (questo lo scriveva già quasi 30 anni fa Peter Singer in Liberazione Animale), che da questo mercato ricava ulteriori utili. Di conseguenza gli allevatori vengono finanziati non soltanto dai consumatori di carne (oltre che dallo Stato), ma anche dai consumatori di latte e formaggi: chi utilizza questi prodotti mantiene quindi di fatto gli allevatori di bovini. Ed è dunque giocoforza complice, come minimo, della morte di tutti i vitelli maschi che questa industria sacrifica all'altare del mero profitto economico, senza considerare quella delle mucche femmine che vengono precocemente macellate alla fine della loro breve carriera produttiva.
La scelta vegetariana, da questo punto di vista, diventa quindi soltanto il primo e fondamentale passo -di per sé già importantissimo, ma non l'unico possibile- verso un'alimentazione meno violenta che, per chi è sinceramente interessato alla vita e al benessere degli animali, condurrà poco alla volta all'evidenza della necessità di fare un ulteriore passo verso il veganismo.
Queste sono, in estrema sintesi, le principali ragioni etica per cui i vegan, oltre alla carne ed al pesce, non consumano neppure uova, latte e formaggi. Per coerenza etica, ma soprattutto per amore e rispetto verso gli animali.
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