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AZIONE O COMUNICAZIONE?

  • da "La Nemesi" n. 2 - Dicembre 2005
  • 1 mar 2016
  • Tempo di lettura: 4 min

Ogni anno in Italia vengono uccisi per il consumo di carne 450 milioni di polli, allevati in più di 6.000 allevamenti. Un settore che conta circa 80.000 impiegati. Durante la selezione del sesso i pulcini gettati nella spazzatura appena nati sono 30 milioni.

Milioni di altri animali vengono uccisi nei 3.500 macelli autorizzati presenti nel territorio nazionale. Basti pensare che esistono 95.000 allevamenti di mucche da latte, con un milione di bovini macellati ogni anno, contando mucche non più produttrici e giovani vitelli.

I conigli uccisi per l'industria della carne sono 21 milioni, l'Italia ne è la prima produttrice in Europa.

Gli struzzi macellati ogni anno sono 75.000. Nel 1999-2000 in Italia sono stati abbattuti per influenza aviaria 17 milioni di volatili. Nel 2003 altri due milioni. Gli allevatori hanno ricevuto per questi ultimi un rimborso di 9 milioni di euro dallo Stato


L'industria della carne e dei prodotti animali è enorme e il numero delle sue vittime sconcertante.

Di fronte a questa mole di sfruttamento e alla sua diffusione nel mondo che ci circonda, dobbiamo per forza chiederci quale strada sia meglio intraprendere per combatterla e se ne troviamo più di una come unirle o quale prediligere.

Il primo passo che ognuno di noi può fare è quello delle scelte personali, che portano le persone sensibili allo sfruttamento animale a diventare vegane. Ma poi? Ed è da qui, da questo poi, che vogliamo partire in questa breve analisi, che speriamo porti ad una proficua discussione e ad una diffusione della lotta su queste tematiche.


Quello che ci sembra ovvio è che non è pensabile di attuare le stesse metodiche di lotta utilizzate in altri settori dello sfruttamento animale, come allevamenti di animali da vivisezione per esempio. Se di fornitori per i laboratori ce ne sono solo sei o sette in Italia, e passare anche anni per chiuderne uno ha un senso e può avere un impatto sul settore, lo stesso non si può certo dire per gli allevamenti di animali cosiddetti “da reddito”. Qualcuno potrebbe pensare di fare una campagna per chiudere uno dei 6.000 allevamenti di polli italiani? Anche una vittoria in tal senso poco danno porterebbe all'industria, che potrebbe gestire facilmente la cosa.


Qualcuno vede la soluzione nell'azione diretta. Per esempio di allevamenti di animali da pelliccia ce ne sono pochi, e l'esperienza insegna come molti abbiano chiuso in seguito ad azioni di liberazione o all'estero anche per campagne di protesta e di lotta. Liberare gli animali dalle fabbriche di carne è un gesto splendido, che per quegli individui può significare tutto, ma che per gli allevatori non è di gran danno. Se invece qualcuno pensa a sabotaggi eclatanti ci vorrebbero comunque eserciti di attivisti e migliaia di azioni per porre fine a questa industria. L'azione diretta può avere un impatto sul singolo allevatore, o può aiutare a portare alla luce quanto gli allevatori e macellatori vogliono nascondere, ma non sarà di per sé la soluzione.

Altri ancora credono che solo l'informazione in questo caso possa essere il punto su cui focalizzare l'attenzione. Non possiamo negare che di fatto un singolo vegetariano/vegano in più è una perdita, contando tutti gli animali che un individuo mangia ogni anno in media, e migliaia di vegani in più possono essere davvero un danno economico. Ed è forse su questo punto che funziona maggiormente la lotta a questo settore di sfruttamento. Non dimentichiamoci che il numero di vegetariani in Italia negli ultimi anni è cresciuto moltissimo e che le continue notizie di morbi diffusi negli allevamenti, di contaminazioni e di diffusione di alimenti modificati geneticamente nei mangimi stanno facendo diminuire la fiducia nei prodotti animali e nell'agricoltura industriale. Non che prediligere l'informazione debba essere un deterrente per l'azione, quando invece anche dell'azione dobbiamo vedere il lato comunicativo, sia nelle parole che in eventuali immagini, ma soprattutto nel gesto stesso: ogni liberazione è una voce che si alza forte e che impone di farsi sentire, una voce per la libertà di tutti gli esseri viventi. D'altronde in molte lotte azione e comunicazione unite hanno dato la giusta miscela per ottenere i risultati voluti.


Un modo di unire azione e comunicazione, per dare una dimensione attivistica alla diffusione del veganesimo, è quello messo in pratica dai tedeschi di Befreite Tiere e da altri gruppi di cosiddette open rescue. Ognuno con metodi diversi, alcuni da parte nostra anche criticabili, questi gruppi effettuano ogni anno decine di liberazioni da allevamenti industriali in modo aperto, senza nascondere la responsabilità di questi gesti, usano immagini fotografiche e video, oppure carcasse trovate negli allevamenti, come documentazione dell'orrore di questi veri e propri centri di sterminio. Usano in pratica l'azione come mezzo per comunicare […].

Quello che vediamo di positivo in questo metodo di lotta è la diffusione delle liberazioni, il numero molto più alto di animali che escono dalle gabbie, il numero maggiore di persone che partecipano alle liberazioni facendo esperienza diretta di allevamenti e di modi per portare in salvo animali. Ma soprattutto se pensiamo a BT come progetto comunicativo, pensiamo a quante persone hanno raggiunto con 2.000 animali liberati in pochi anni, a quanto questi stessi animali liberati siano una testimonianza vivente e portavoce delle catene di sfruttamento degli allevamenti industriali, a quanto questo possa avere portato altri a riflettere o ad approfondire la conoscenza di questa realtà. Guardando negli occhi quegli animali, chi li adotta o tutte le persone che li incontrano, non possono fare a meno di vedere il riflesso di quell'inferno da cui sono stati tirati fuori.


 
 
 

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