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LIBERAZIONE ANIMALE VS ANIMALISMO ovvero perché la liberazione animale debba essere una lotta rivolu

  • Sergio da "Terra Selvaggia" n. 27 - Luglio 2013
  • 4 mar 2016
  • Tempo di lettura: 6 min

Negli anni scorsi si scatenò un vero vespaio di polemiche per l'arresto di almeno un fascista ritenuto responsabile di alcune azioni rivendicate con la firma A.L.F. ed anche in seguito alle fratture originate dalla presenza di alcuni fascisti in un corteo contro Harlan.

Niente di più legittimo dello schifo di quanti si sono trovati con al fianco nelle lotte che portano avanti per la liberazione animale quello che può essere visto solo come un nemico. Tante voci si sono aggiunte al coro che chiedeva: “com'è possibile che ci siano dei fascisti in mezzo a noi? Noi siamo contro ogni forma di discriminazione e sfruttamento, non è ovvio?”. Evidentemente non è così ovvio, ma spunti critici di confronto ne sono stati proposti parecchi.


Che personaggi ambigui, quando non palesemente ripugnanti, si avvicinino ad alcune lotte, non è certo la prima volta. Effettivamente anni fa questa era un'eventualità a dir poco episodica, mentre ora è diventata sistematica, con organizzazioni fascistoidi ampie che straparlano di azione diretta, A.L.F. e liberazione animale. Però è anche vero che negli ultimi anni le lotte cosiddette radicali in tema di animali hanno guadagnato spazi sempre più ampi sui massmedia e sembrerebbe anche consensi in quelle masse che da quei media si lasciano ipnotizzare ogni giorno. Un successo? A me sembra solo un altro frutto avvelenato che nasce dalla stessa pianta. Conviene quindi chiedersi dove affondino le radici di questo problema.


La lotta di Liberazione Animale vuole porre fine con ogni mezzo necessario al dominio dell'uomo, non solo sugli altri animali non umani, ma anche sull'uomo e sulla terra e scardinare una visione antropocentrica fondante nella nostra cultura, che a causa di tutti i rapporti gerarchici, autoritari e paternalistici verso tutto ciò che è “altro” (in base a specie, regno biologico, genere, razza, orientamento sessuale o quant'altro) e lo fa focalizzandosi sull'alterità animale.

L'animalismo è tutt'altra cosa ed è termine che si adatta alle più svariate attività: dal protezionismo istituzionale (esistono addirittura partiti animalisti), al volontariato nei canili, alle proteste legali, alla diffusione di materiale informativo sulla crudeltà verso gli animali, fino a scelte individuali come l'adozione di una dieta vegetariana o vegan. Il denominatore comune di tutti coloro che adottano queste o simili pratiche è un certo grado di empatia verso gli altri animali.

Nulla di male in tutto questo ( o quasi, tolte alcune pratiche animaliste decisamente controproducenti) se sono interpretate per quelle che sono: percorsi individuali che in nessun modo possono portare alla liberazione animale.


Chi è vegan, non necessariamente sta contribuendo alla liberazione animale e lo stesso vale per chi, inorridito per la gratuita crudeltà delle pellicce, partecipa ad un presidio. Questi animalisti sono sicuramente un importante referente con cui confrontarsi, sono un buon numero fra quelli che partecipano ai cortei o plaudono alle azioni dell' A.L.F., ma spesso vivono tutto questo in un ottica di “difesa”. La lotta per come la vedono loro è per i “poveri animalini” e la confondono con la lotta di liberazione animale, che invece deve avere una fortissima connotazione di attacco.

Se siamo davvero convinti che lo sfruttamento animale e l'antropocentrismo siano pilastro e facciata della società industriale non possiamo essere così ingenui da immaginare un capitalismo cruelty free o una civiltà industriale senza sfruttamento. Dobbiamo abbattere l'intero edificio e bruciarlo fino alle fondamenta, perché solo dalle sue ceneri potrà nascere qualche cosa di diverso.


Purtroppo molta della comunicazione legata alla lotta di Liberazione Animale però punta sull'aspetto emotivo, riducendo i contenuti più radicali ai soli slogan oramai sempre uguale ed anche digeribili finché li si ascolta continuando a considerarli solo frasi ad effetto. Si investe sull'empatia sperando che sbattendo in bella mostra sangue e dolore tutti si sentano mossi a compassione e decidano di lottare per la liberazione animale. Questo approccio ha però due enormi lacune. La prima è appunto che chi si avvicina a determinate lotte solo per difendere gli animali, non è affatto detto che sia disposto a mettere in discussione il resto dell'esistente e tanto meno ad attaccarlo. L'altra è proprio legata alla natura stessa dell'empatia, che non è qualcosa di razionale, ma la nostra capacità di condividere e sentire nostro ciò che prova l'altro.

Ovviamente nella società tecnologica a capitalismo avanzato, in cui ognuno di noi è ridotto a mero ingranaggio della mega macchina, l'empatia è una bella scocciatura per i padroni. Per questo la cultura, la famiglia, la scuola, addirittura gli ormai onnipresenti social network fanno di tutto per annientarla e cancellare ogni spirito di condivisione e comunità sostituendoli con dei surrogati plastici omologati.


Se continueremo a puntare sull'empatia come leva migliore non potremo che fallire. I più ci saranno indifferenti, molti sembreranno colpiti ma si scorderanno di qualsiasi orrore e urgenza di lotta con la rapidità con cui cambiano canale. La sovrainformazione ormai non cela neanche più la sua funzione. Veniamo bombardati da notizie ed immagini sempre più forti così da lasciarci spaventati (e quindi grati al potere che in cambio della libertà ci tiene al sicuro), ma incapaci di trattenere i singoli fatti che ci scivolano via incalzati da sempre nuove news.

È ora di smetterla di illuderci con la balla che se i mattatoi avessero le pareti di vetro saremmo tutti vegetariani. Saremmo solo assuefatti al sangue e non ci colpirebbero neanche più i video trafugati più raccapriccianti.


Anche volendo immaginare che le nostre capacità nel campo della comunicazione riuscissero a superare quelle della società dello spettacolo, incorreremmo comunque in quello che è stato ed è spesso uno dei più grandi errori dei movimenti rivoluzionari: la ricerca del quantitativo a discapito del qualitativo.

Un capovolgimento dell'esistente non avverrà certo quando raggiungeremo un numero tale di solidali da far pendere il piatto della bilancia dalla nostra. Possiamo coltivare simili speranze solo se ci siamo lasciati abbindolare dalla farsa democratica.

Lo sfruttamento animale è una questione culturale tanto quanto economica e chi ne incassa gli interessi non permetterà mai volontariamente che gli si recidano i cordoni della borsa. Non esiterà a mettere in campo tutti gli strumenti che il denaro gli consente, dal controllo della cultura e dell'informazione alle armi della repressione. La schiera dei suoi succubi sarà sempre innumere, la sua forza schiacciante. Se vogliamo disarmare ed annientare questo nemico dobbiamo colpirlo dove ripone il suo acido cuore. Il boicottaggio (con presidi, campagne di pressione su bersagli specifici o altro) può essere uno fra i tanti strumenti ma se decidiamo di non attendere di essere maggioranza ci sono infiniti altri strumenti che possono danneggiarlo molto di più. Possiamo causare danni irreparabili se siamo disposti a passare all'attacco e la scelta degli obbiettivi dovrebbe essere solo strategica, dov'è che colpendo possiamo farlo più duramente? Ci sono animali da liberare, strutture da sabotare, personaggi chiave nello sfruttamento animale.


A questo punto di solito insorge un nuovo ostacolo: il rapporto con l'illegalità. Dopo la frattura morale necessaria per passare dalla difesa all'attacco, diviene necessario il superamento del tabù dell'illegalità.

Dobbiamo innanzi tutto considerare che le leggi sono strumenti di dominazione tanto quanto la cultura antropocentrica e quindi non possiamo farci scrupolo di rispettarne uno volendo abbattere l'altro. Per di più nessun ordinamento sociale autoritario permetterà a qualcuno di scansarlo da parte pacificamente. La Lotta di liberazione animale è una lotta rivoluzionaria, un totale capovolgimento di tutti i valori e le strutture di potere dominanti e come tale dovremmo affrontarla. Tutte le lotte parziali, rivendicative, concertate, non solo non porteranno alla Liberazione animale ma concorrono al rafforzamento della società industriale capitalista.


Tutti ormai conoscono termini come “green economy” che dovrebbero essere considerati solo per quello che sono: ossimori. Il potere recupera le forme di dissenso che non può (o non vale la pena) eliminare e con piccole insignificanti concessioni pacifica i dissensi, si mostra “buono e comprensivo” e diventa ancora più forte. Lo status quo viene preservato. Per questo dobbiamo tornare a rendere centrali nella nostra lotta le pratiche non recuperabili, che guarda caso sono illegali e niente affatto digeribili per chi ricerca la pacificazione sociale.


Se torneremo a rendere le pratiche d'attacco senza compromesso centrali nel nostro percorso e sapremmo rivendicare la radicalità della nostra lotta, chi si avvicinerà avrà già dovuto superare quella sottile linea che lo rende un combattente per la liberazione animale e il nostro agire non avrà più limiti neanche riguardo agli strumenti.

Di certo non dovremo più temere che dei fascisti si infiltrino tra noi, perché sarà fin troppo chiaro che la nostra lotta è anche contro di loro. Però prima dobbiamo capire se la nostra lotta vuole essere rivoluzionaria, nostri nemici saranno anche tutti i vari politici (anche se si dichiarano animalisti) e i giornalisti loro servi.

In quest'ottica possiamo ricorrere a una vasta pluralità di pratiche, ma non scordiamoci di erigere le barricate. Almeno per dividere noi da loro.


 
 
 

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