LEGGEREZZE INSOSTENIBILI
- da "La Nemesi" n. 4 - Febbraio 2007
- 18 feb 2016
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Rifiutare i prodotti della sofferenza animale è un elemento irrinunciabile per una lotta di liberazione di tutti gli esseri viventi e della Terra che sia veramente tale. Se troppo spesso questa scelta viene derisa e sminuita è colpa, per un verso, della stupidità di chi non la vuole capire, e per un altro dell'incapacità di saperla collocare all'interno di una visione completa delle cose. Il veganesimo invece deve essere portato avanti con sicurezza e posto come fondamento di un discorso politico. L'antispecismo diventa allora la cornice in cui l a scelta vegana assume chiarezza e tutta la dignità che le spetta.
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Sentimenti di compassione e rispetto verso gli altri animali sono noti sin dalla notte dei tempi ma l'origine di un movimento si può intravedere nella fumosa e malsana Londra del XIX secolo quando per stemperare il clima di violenza generale si incominciarono a manifestare pubblicamente gesti di benevolenza e pietà verso gli animali, per esempio offrendo loro acqua da bere e guardandoli non più come delle macchine ma come esseri animati. Sempre in Inghilterra nascerà la Società Reale di Prevenzione delle Crudeltà sugli Animali e dopo la seconda guerra mondiale la Vegan Society.
Arrivando ai giorni nostri, violenze e brutalità sono all'ennesima potenza e gli animali continuano ad esserne le vittime principali. Per loro è una fortuna incontrare degli umani che li vogliono liberare, aiutare, curare, amare. Offrire rifugio e amicizia a questi magnifici esseri viventi è di per sé un gesto di altissimo valore.
Ma chi prova empatia verso gli animali e contemporaneamente sente forte in sé il bisogno di ribaltare il mondo e distruggere le fondamenta di una società fondata sull'oppressione tra esseri umani non può che abbandonare la poco chiara definizione di “animalista” ed iniziare a spiegare meglio quella serie di “anti” e “pro” che purtroppo danno l'illusione di aver chiarito a sufficienza ma che spesso servono solo come barriera difensiva.
Il problema sta nell'idea ormai consolidata di animalismo, che si porta dietro una storia complessa. Se animalista può definirsi, da una parte, la signora in pelliccia che firma contro la vivisezione, il ragazzo che odia i cacciatori e i macellai ma anche gli arabi, e dall'altra l'anarchica ecologista vegana allora c'è qualcosa che non va. E' arrivato il momento di emergere con la posizione antispecista da quel magma indistinto che è l'animalismo, più di quanto abbiamo sempre fatto. Qui dentro il minimo comune denominatore è una certa sensibilità verso gli animali e una propensione a contrastarne lo sfruttamento. Il che non è poco, di per sé ha un grandissimo valore e nell'egoismo galoppante globale è un sentimento preziosissimo.
L'animalismo è un po' un enigma. Iniziamo a risolverlo. In primo luogo non si deve pensare all'animalismo come a un'ideologia da cui si dipartono varie correnti ma piuttosto come a un ricettacolo, un calderone dove per uso consolidato si butta dentro di tutto.
Possono essere diverse le radici dalle quali si parte e l'immagine dell'albero che si dirama non è adeguato a spiegarlo. In altre parole, date le varie nature dei gruppi animalisti è scorretto ritenere che abbiano un'unica origine.
Non vogliamo rinnegare l'uso di questo termine, anche perché è comodo ed efficace durante l svolgimento di campagne specifiche. Per noi antispecisti va bene in certe circostanze, ma non per definire appieno quello che siamo. E' da sostituire non perché offensivo, ma perché è limitato, anche se non necessariamente chi si ritrova appieno in questa definizione è impermeabile ad altre problematiche. Chi invece ottuso e insensibile al resto lo è sul serio, deve essere onesto e ammettere di non essere spinto da venti di rivoluzione e di desiderare semplicemente un mondo privo di crudeltà verso i non umani. Ma è forse credibile un mondo dove le guerre, le torture, le prigioni, le sopraffazioni di ogni tipo colpiscano solo gli umani? Certo si può sempre credere ai bombardamenti chirurgici che risparmiano gli animali e ammazzano solo la gente, che secondo questa visione non è degna di pietà. O è forse desiderabile una società umana ferma su principi imposti e inculcati come la religione, la patria, la famiglia, lo svilimento delle donne come semplici contenitori biologici?
Chi sono questi animalisti? Per esempio associazioni ultra milionarie come la P.E.T.A., impegnata a distribuire cibo senza crudeltà (vegano) ai soldati americani in missione e tutta lanciata nel mondo senza limiti delle star di Hollywood, utilizzando nelle campagne di sensibilizzazione lo stereotipo della femmina la cui dote primaria è quella di avere il fisico giusto e il sorriso che rassicura. Tranquilli! La villona, la macchinona, lo yacht, i valori dell'Occidente non sono in discussione, si può essere animalisti e fieri sostenitori della western way of life.
Oppure quei gruppi gerarchici guidati da capetti in cerca di potere per i quali il proprio ruolo deve risaltare più dei contenuti e in definitiva più degli animali. L'elenco non si esaurisce qui ma non è difficile individuare gli altri, basta guardarsi intorno con uno sguardo disincantato. Si può fingere c he non esistano e accantonare delle critiche avvedute perché comunque il loro lavoro va a vantaggio degli animali. Molti lo fanno. E' questo che distingue un “animalista punto e basta” da uno che vuole vedere di più e sente di più.
E' innegabile che essere animalisti o essere vegani è una scelta trasversale, cioè che può riguardare persone appartenenti ai più disparati orientamenti politici. Tra questi ci sono senz'altro soggetti dalle idee e dalle pratiche pericolose per il resto dell'umanità e con i quali l'unica convergenza possibile è quella alimentare, dal momento che le divergenze sono basate sulle fondamenta della nostra sensibilità, contraria all'autoritarismo e alle discriminazioni.
Nonostante questa distanza abissale, si possono però tranquillamente riconoscere i meriti di certe associazioni conservatrici che con campagne mirate hanno raggiunto molti risultati effettivi.
E' ora di ammettere che a volte è più di quanto abbiano mai ottenuto decenni di alcune contestazioni radicali ma poco pratiche. C'è sempre tempo per rivedere le proprie strategie e imparare dagli altri, mischiando al meglio la teoria e la pratica.
Liberare gli animali è politica?
Se si è interessati a fare distinzione tra un sentire animalista e uno più completo, che è ora di iniziare a chiamare antispecista, la prima cosa da buttare a mare è sicuramente il qualunquismo del “niente politica”.
Innanzitutto sono da rigettare affermazioni semplicistiche dove per politica si intende appartenere ad opposti schieramenti parlamentari. Non riconoscersi in nessuna di queste fazioni è un segno di grande consapevolezza e responsabilità verso il mondo, dato che la differenza tra i progressisti e i conservatori è quasi solo formale e sopravvive solo come rimasuglio sottile di coscienza sociale. I partiti di sinistra in tutto il mondo si sono macchiati indelebilmente con scelte guerrafondaie. Le leggi, le istituzioni, i privilegi esistono in ogni forma di governo, democratico o dittatoriale, e assicurano il protrarsi in eterno del potere, che non è mai buono.
Se ci ritroviamo tutti quanti sull'orlo del precipizio e se le previsioni sul futuro sono sempre più apocalittiche, ci sono dei colpevoli più grandi ma le responsabilità ricadono anche su tutti quelli che continuano ad appoggiare i leader e le loro idee. D'altro canto il qualunquismo è tra quegli atteggiamenti che più sono indice della povertà di coscienza e dell'egoismo più stupido. Non se ne può più dello sguardo fintamente ingenuo di chi si chiama fuori dal destino del mondo proclamando di non volersi occupare di questioni politiche e rivendicando il proprio essere animalista e basta. Esistono gradi diversi di consapevolezza e molti non si rendono conto del loro ruolo fondamentale negli ingranaggi della macchina.
Lasciamo dunque che i partiti vadano alla deriva. La politica che facciamo noi non è quella con la tessera del partito e i voti ogni cinque anni, ma quella che milita nelle strade, davanti ai luoghi dove ogni giorno sfruttamento e torture vengono reiterati, dando nomi e cognomi dei responsabili. Una politica che parte anche dai gesti e dalle scelte di vita personali, nella piena coscienza di quanto queste incidano su larga scala nel modo in cui gira il mondo. Una politica che riporti nelle mani degli individui la capacità di valutare, criticare, conoscere, cambiare o ribaltare la società in cui ci troviamo.
Informare in modo completo sugli affari delle multinazionali farmaceutiche, ad esempio, è già politica. Il motivo scatenante per cui attacchiamo queste industrie, la vivisezione, porta con sé altri aspetti che vengono affrontati, come la creazione del bisogno di farmaci, la medicalizzazione autoritaria della società, la realtà delle industrie che avvelenano, inquinano e distruggono. Quando siamo lì davanti non ci dimentichiamo mai che le divisioni agro-alimentari di quelle stesse case farmaceutiche sono le principali promotrici delle manipolazioni genetiche fatte su tutti gli esseri viventi. Quando si inizia a battere il martello seriamente sull'industria della sperimentazione animale, è l'intero sistema finanziario che viene colpito e ferito tanto che il potere politico non ne rimane escluso e corre in aiuto di chi gli assicura una prospera economia. I casi dei laboratori HLS e dell'Università di Oxford sono esempi emblematici.
Nelle proteste contro le pellicce nei grandi magazzini invece ci si misura con la povera realtà delle persone ridotte a schiave del consumo e produttrici di spreco. Rendersi conto del contesto in cui i nostri obiettivi sono incastonati è quel che ci distingue e ci distanzia dall'animalismo a compartimenti stagni.
E' necessario abbandonare senza timore ogni reticenza a definirsi movimento politico, non per questo ereditando atteggiamenti dogmatici che fanno la limitata capacità di analisi di molti individui politicizzati. Un dogma è un principio proposto come obbligatorio e tenuto per verità incontrastabile, non ammette dubbi o critiche.
Accadono spesso delle situazioni nelle quali sapersi adeguare e avere un approccio versatile è un modo intelligente di farsi realmente capire. Con i dogmi non si ottiene niente e chi ci ascolta avrà gioco facile a liquidarci come fanatici e indottrinati da qualche misterioso leader. Però non bisogna aver paura di sembrare rigidi se questo vuol dire tenere ben salda l'avversione per le discriminazioni verso i diversi, che possono essere a turno i non umani, i popoli di diversa etnia o religione, le donne o ancora gli omosessuali. Questo è il nostro antispecismo e nell'opposizione a tutte queste prevaricazioni la nostra lotta per la liberazione degli animali trova la sua quintessenza.
Non esiste un unico retroterra di idee ed esperienze che dà l'input ad un cambiamento, ognuno ha una storia a se stante.
Passi successivi vengono percorsi finché ci si ritrova a condividere con altri un percorso di lotta. Riconoscersi nei propri compagni è l'indizio giusto per capire che si è fatta una scelta accurata, sia nelle affinità personali che in quelle ideologiche.
Antropocentrismo e autorità
Rifiutarsi di partecipare consciamente allo sfruttamento animale ha un potenziale enorme, può condurre ad aprire altre porte e a scoprire di più sulla realtà in cui ci troviamo. Come non vedere ad esempio le analogie che intercorrono tra la condizione degli animali e quella di tante donne e uomini. Questa sorte si chiama “essere ammazzato come un animale”.
Proclamare il diritto di mangiarsi il panino al prosciutto è qualcosa di insopportabile e dovrebbe creare quantomeno imbarazzo se fatto da chi lotta contro l'indifferenza e l'egoismo dei privilegiati e dei potenti. La carne significa catene, gabbie, filo spinato, violenze, torture, umiliazioni. Il parallelismo con le vessazioni e i soprusi che vengono perpetrati dagli umani su altri umani è lampante. Evidentemente quello che manca è il riconoscere agli animali la dignità e la libertà che si pretende per se stessi e per la propria cerchia di simili.
Non può che farsi strada l'idea che il vecchio dogma cattolico del sole che gira intorno alla terra, difeso a forza di abiure e roghi, non sia mai morto. Quello che sorprende è la continuità tra un pensiero dove Dio ha creato per gli Uomini non solo il pianeta Terra, ma addirittura tutto l'Universo e un antropocentrismo questa volta agnostico o ateo, che ritiene l'essere umano in ogni caso superiore e detentore del potere di vita e di morte su tutto il resto.
La sistematicità dello sterminio nei lager nazisti traeva ispirazione da quello già praticato nei confronti degli 'animali da carne', tanto che nei racconti dei sopravvissuti l'essere stati trattati “come bestie” è una frase ricorrente. Perché è tanto indicibile invece il paragone ribaltato, tra il trasporto forzato e la macellazione di milioni di animali al giorno e quello che è successo ad alcuni milioni di ebrei, zingari, oppositori politici, minoranze etniche, portatori di handicap? Per una mucca non ci sono molte differenze, quello che è successo in quei luoghi capita ora a lei come a milioni di individui di tutti i popoli discriminati e trucidati ogni singolo istante qui ed ora.
“Si sono convinti che l'uomo, il peggior trasgressore di tutte le specie, sia il vertice della creazione: tutti gli esseri viventi sono stati creati unicamente per procurargli cibo e pellame, per essere torturati e sterminati. Nei loro confronti tutti sono nazisti; per gli animali Treblinka dura in eterno”
Isaac Bashevis Singer, scrittore yiddish
Mucche e maiali trasportati in autostrada, deportazioni la cui respnsabilità ricade su chi ancora è convinto che la scelta vegana non sia necessaria per definirsi antiautoritari, facendo subire agli animali l'autorità dell'elite umana. Essere antiautoritari significa odiare l'autorità in sè, non solo alcune sue forme.
Un modo utilizzato dagli aguzzini in tutto il mondo è quello di spogliare le proprie vittime e farle sentire così più vulnerabili, la pelle umana contro le divise e gli stivali. Stessa sensazione la prova l'individuo non umano da macellare, da sottoporre a studi scientifici, da scuoiare, da domare. Tutti gesti tremendi che si ripetono ogni minuto mentre ancora c'è qualcuno che stenta a condannarli.
Ognuno si deve chiedere di cosa è responsabile, in quale modo e con quale gravità.
Se la diversità continuerà ad essere una discriminante allora il destino dei diversi sarà sempre lo stesso.
E' nelle possibilità di tutti rispettare totalmente ciò che è altro da noi. Rispetto per il suo essere un individuo e per ogni sua singola componente. Rispetto per le multiformi sembianze sotto le quali la vita si manifesta. Significa semplicemente non prevaricare con un "io" ingombrante e invadente.
"Ama il prossimo tuo come te stesso" o "Quello che farete al più piccolo tra voi, credete l'avrete fatto a me" sono frasi che dovrebbero uscire dalle bocche di tutti, togliendone il monopolio a quei predicatori e a quei fedeli praticanti che non le vogliono mettere in pratica. E' un principio generale che dovrebbe essere la premessa a tutto, per non essere noi motivo di terrore o privazione della libertà per chi condivide con noi questo pianeta.
Resta da vedere chi e cosa fa l'altro per meritarsi il nostro rispetto...
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