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PARTITO ANIMALISTA? NO, GRAZIE.

  • Wild and Free
  • 18 feb 2016
  • Tempo di lettura: 3 min

Nel marasma generale di associazioni e pseudo-partiti a vocazione “animalista”, negli ultimi tempi si sta ritagliando uno spazio sul web il fantomatico PARTITO ANIMALISTA.

Se è vero che, oltre all'occhio, anche l'orecchio vuole la sua parte, questa formazione virtuale si presenta già male denotando, quanto meno, una scarsissima fantasia (esistono già partiti con tale nome). E questa è solo la punta dell'iceberg.

A riprova di quanto già da me esposto in precedenza, il connubio politica/animalismo può, e spesso e volentieri è così, generare mostri. Il cosiddetto “animalismo” infatti è un termine, o meglio ancora un ambito, che si presta a generare confusione, a unire l'inconciliabile e a diventare bandiera di molti personaggi ambigui se non meschini.

Entrando nello specifico, questo “partito animalista”, nasce come gruppo su Facebook qualche mese fa. Sin dagli albori lo scopo principale appare essere solamente la rappresentanza parlamentare; i post del gruppo si alternano noiosamente tra vittimistici appelli contro gli onnivori, richieste di adozioni di animali ed innumerevoli sproloqui politico-legalitari dell'amministratore.

Di pari passo con la crescita numerica dei membri (molti dei quali si può ragionevolmente sospettare siano stati aggiunti inconsapevolmente) è aumentata anche la smania di carattere elettorale. Si passa dalla cieca follia de “tutta l'Italia è animalista, tutta l'Italia ci voterà” all'emerita idiozia di sostenere che l'unica via possibile per fermare lo sfruttamento animale sia quella di sostituirsi alle attuali forze politiche (notare che, nonostante si sprechino le offese verso l'intero ambito politico, giudicato inefficiente e corrotto, si riproponga come soluzione la conquista e l'utilizzo del medesimo potere politico-legislativo).


Arriviamo quindi adesso, qualora ve ne fosse ulteriore bisogno, ad analizzare il programma, anche detto “progetto di costituzione del partito animalista”.

Tralasciando la stomachevole ed infinita suddivisione gerarchico-piramidale dei ruoli all'interno di

quello che dovrebbe diventare il “partito animalista”, possiamo concentrare l'attenzione sui 26 punti del programma.

Già da una prima breve lettura traspare una grande confusione e una instabile comunione di intenti, gli articoli sono raffazzonati e si susseguono senza alcun senso logico e di consequenzialità. Se già un'abolizione dello sfruttamento animale dall'alto sarebbe di per sé sbagliata, qui non si arriva nemmeno a questo –nonostante i molti proclami battaglieri presenti nel gruppo– ma alla proposta di una sostanziale “umanizzazione” e miglioramento (?) delle condizioni di oppressione in cui versa il regno animale. Macelli, allevamenti, mattatoi, per il “partito animalista” non vanno distrutti, bensì controllati e se possibile limitati. La manifesta incoerenza e confusione (o una chiara lungimiranza nel voler cavalcare i sentimenti dei più per propri secondi fini?) di questa gente è indescrivibile: da un lato si sostiene di stare “lottando” per la dignità e la libertà degli animali, dall'altro invece si bollano tutte le Azioni individuali e dirette come inutili, in quanto solo “quando si sarà in parlamento” si potrà fare qualcosa di concreto. È opinione degli amministratori del gruppo che la “questione animali” vada risolta solo e soltanto cambiando la legislazione in materia; ma le conclusioni, ovviamente, lasciano sconcertati: i cambiamenti auspicati dal “partito animalista” sono -come quelli di ogni altro partito- puramente di forma, mai di contenuto. Non vi è nessuna volontà reale, per altro inconciliabile con la prassi politica, di eliminare il problema dello sfruttamento ma solo di regolamentarlo per mezzo di leggi e di sanzioni. Oltre a questi aggiustamenti di facciata, è chiaro come non si voglia andare a monte del problema. Pur non condividendo affatto l'ostilità verso l'azione diretta, possiamo comprendere come non tutti vi si possano accostare, ma allora, piuttosto che premere su leggi e divieti dettati dall'alto, andrebbe forse battuta la strada della controinformazione e della presa di coscienza. Al contrario, tra gli ispiratori del “partito animalista” non sembra nemmeno esserci una spinta controinformativa ma il solo desiderio di raggiungere il potere. Che poi, il raggiungimento di ruoli di governo possa cambiare realmente qualcosa circa lo sfruttamento animale non è solo illogico in sé, ma viene smentito dalla realtà dei fatti in cui molti politici “animalisti” ben più noti e 'importanti' non abbiano mai apportato niente più che qualche aggiornamento burocratico.


Da un dialogo avuto con uno degli animatori di questo fantomatico partito, abbiamo avuto riprova che queste persone non desiderano altro che essere eletti su qualche scranno limitandosi al non fare niente nell'attesa (e nel mentre, ovviamente, gli animali continueranno a restare carne da macello) e a denigrare e sminuire chi invece agisce in prima persona per la liberazione animale senza stupidi e gretti compromessi politici.

Nota di coda: una volta messo alle strette davanti alla manifesta incoerenza e al suo vittimismo, il rappresentante del partito animalista ha ben deciso di troncare e di eliminare ogni traccia della conversazione.


Quella che per me resta una domanda retorica forse per altri, tra cui magari qualche inconsapevole seguace del “partito animalista”, non lo dovrebbe essere: abbiamo veramente bisogno di nuovi leader o capoccia per muoverci concretamente contro lo sfruttamento animale?

A voi le vostre conclusioni.

 
 
 

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